Mancano meno di 48 ore al via. Ma la partenza del reddito di cittadinanza si preannuncia in salita. Tra lacune normative da colmare, decreti attuativi ancora appesi e controlli anti-furbetti da limare, non mancano i tornanti in grado di far sbandare la macchina del sussidio di Stato. Perciò le prime domande per ottenere il sostegno (i moduli Inps potranno essere presentati dal 6 marzo) appaiono destinate a finire nel freezer: l’Inps impiegherà 10 giorni per verificare l’idoneità dei richiedenti, ma non dovrebbe comunicare l’esito dei controlli prima del 28 marzo, data entro la quale il decretone diventerà legge.
Nel frattempo, il Tesoro ha già bollinato il flop del sussidio: stando all’annuale Relazione sugli indicatori di benessere equo e sostenibile, tra il 2018 e il 2021 il reddito disponibile aggiustato pro capite degli italiani crescerà meno rapidamente di come ha fatto finora, arrivando a quota 1.621 euro alla fine del triennio. L’indicatore sul reddito disponibile aggiustato pro capite (Rda) somma i redditi di cui può disporre una famiglia alla quantificazione dei servizi forniti in natura dallo Stato, per poi dividere il valore ottenuto per il numero delle persone residenti. Misura il benessere economico degli italiani al netto di tasse e contributi. Se salirà da 22.811 euro nel 2018 a 24.432 euro nel 2021, sarà soprattutto per effetto dell’entrata in funzione del reddito di cittadinanza. Ma non è tutto oro quel che luccica. Già perché a ben vedere il Rda quest’anno subirà una prima decelerazione. Nel 2018 (anno in cui ha debuttato il Reddito di inclusione) è aumentato del 2,7 per cento, ha stimato il ministero dell’Economia. Mentre adesso dovrebbe rallentare la propria corsa, crescendo solo del 2,5% nel 2019. La crescita del Rda viaggerà a ritmo ridotto pure nel 2020 (sempre +2,5%). Per il 2021 è stato previsto un mini-incremento dell’1,9%. I dati contenuti nella relazione sul Bes fotografano così il minore impatto sul benessere degli italiani delle misure gialloverdi, a incominciare proprio dal reddito di cittadinanza, rispetto a quelle allestite nella precedente legislatura.
I DETTAGLI
Servono ora una quindicina di decreti attuativi per permettere alla macchina del reddito di cittadinanza di funzionare. Entro la fine di marzo andranno definite una volta per tutte le modalità di accesso e condivisione dei dati tra le varie amministrazioni nell’ambito del meccanismo di controllo delle idoneità al sussidio. Ed è qui che i Comuni sono in grave ritardo. Manca una rete interconnessa per verificare i dati anagrafici. E senza il requisito dei dieci anni di residenza non si può ottenere il sussidio. A gennaio, tanto per fare un esempio, solo una quarantina di enti locali, pari a poco più di un milioni di cittadini, erano connessi con l’Anagrafe nazionale della popolazione residente. Dopodiché andrà stabilito il perimetro entro il quale effettuare il monitoraggio delle spese effettuate con la card gialla e dovrà essere stilata la lista dei Paesi extra Ue dai quali non è possibile ricevere la documentazione sul patrimonio degli stranieri che inoltreranno la richiesta per il reddito. I Comuni, invece, dovranno avviare entro luglio le procedure per impiegare i percettori del reddito in attività socialmente utili. In ballo, come noto ci sono 5,6 miliardi da distribuire quest’anno ad una platea potenziale di 1,3 milioni di nuclei familiari. Peccato però che il quadro non sia ancora definito. Non solo perché mancano i navigator ( i bandi di selezione sono in alto mare), ma anche un sistema informatico in grado di incrociare domanda e offerta di lavoro.